La donzelletta vien dalla campagna
La donzelletta vien dalla campagna

Il celebre incipit leopardiano richiama alla memoria scorci di felicità alla vigilia della festa, mentre tutto il villaggio si anima nell’attesa. I lavoratori tornano dalla campagna, e allo stesso modo dalla campagna marchigiana giungono, oltre alla bellezza dei fiori per ornare i capelli delle ragazze, anche la bontà e la freschezza dei prodotti destinati alla tavola del giorno seguente.
Gli orti che dalle colline si affacciano sul mare donano verdure di ogni tipo, largamente impiegate nella cucina locale: i finocchi e le insalate, i cavolfiori e i carciofi, in particolare quelli raccolti nella zona di Jesi, pregiati come le cipolle di Suasa e i cardi della Valle del Trodica.
Protagonisti della gastronomia marchigiana sono tuttavia i legumi: numerosi sono i piatti regionali a base di fagioli, taccole, piselli e ceci, ma soprattutto lenticchie, fave e cicerchie. Le lenticchie, in particolare, trovano una tipicità riconosciuta nella Lenticchia di Castelluccio di Norcia, alla quale è stato attribuito il marchio di Indicazione Geografica Protetta, che tutela i legumi coltivati sui Monti Sibillini, ai confini tra Umbria e Marche. Anche le fave, che vedono il più noto centro di produzione a Ostra, sono ingrediente di molte zuppe e contorni, oltre a costituire la base per una rustica farina utilizzata per preparare pani e paste.
Autentica specialità dell’orticoltura marchigiana è la cicerchia, antico legume “povero”. I Latini la chiamavano cicerula, che significa «piccolo cece», per le sue ridotte dimensioni: di forma irregolarmente tondeggiante e di colore grigiastro, la cicerchia, un tempo diffusa in tutta l’area mediterranea, è ormai coltivata solo in pochi e ristretti terreni, per lo più a livello familiare. Nonostante la rarità di questo prodotto, nelle Marche la tradizione di preparare zuppe, creme e purè di cicerchie è ancora viva, in particolare a Serra de’ Conti: qui, dove il “piccolo cece” non è mai stato dimenticato, si fanno anche tagliatelle e pappardelle con la farina da esso ricavata.
Non è da meno la varietà offerta dai frutteti, composta soprattutto da piccole produzioni locali: alcune coltivazioni si innestano su tradizioni del territorio e propongono il sapore antico della campagna.
Alle visciole, ingrediente base per la preparazione di un particolare vino, il visner, si affiancano le prugnole e le mele cotogne, le mele rosa, i fichi di Recanati, le pere Angelica e le pere a cucuccetta.
Tra i frutti va annoverata l’oliva, la famosissima Oliva Ascolana del Piceno DOP. «Le olive picene sono preferite a tutte le altre», scriveva già Plinio nel I secolo d.C., testimoniando un apprezzamento condivisibile ancora oggi. Grosse, succose, delicatamente amarognole, queste olive da mensa hanno una buccia sottile e un nocciolo molto piccolo, che le rende perfette per essere farcite: la DOP tutela, oltre alle olive in salamoia, anche quelle ripiene, fritte secondo la ricetta classica. Le autentiche olive all’ascolana, ovunque imitate, si possono gustare da sole come antipasto oppure come elemento del ricco fritto misto marchigiano.
Frutti particolari sono anche quelli raccolti nei boschi: more, corbezzoli e soprattutto castagne, tra cui il pregiato marrone del Montefeltro.
Sempre dal Montefeltro giunge un altro dono prezioso, il tartufo. Ad Acqualagna a ogni stagione corrisponde una particolare varietà di tartufo, da quello nero pregiato, presente nei mesi più freddi, allo scorzone, il tartufo nero raccolto durante i mesi estivi, fino al nobile tartufo bianco, che in autunno rappresenta l’oggetto del desiderio dei cercatori. Il profumo dei tartufi fa «andare in estasi il buongustaio », come scriveva Rossini, che tanto amava questi tuberi. Le ricette predilette dal grande compositore pesarese, infatti, fanno largo uso dei tartufi, sia bianchi che neri, nei famosi tournedos come nella salsa per condire l’insalata: «prendete dell’olio di Provenza, mostarda inglese, aceto di Francia, un po’ di limone, pepe, sale, battete e mescolate il tutto; poi aggiungete qualche tartufo tagliato a lamelle sottili». Sono parole del maestro, tra le cui passioni un posto di primo piano occupavano i maccheroni, da farcire con una succulenta crema di tartufo: «pazientemente iniettava in ogni cilindro di pasta questa salsa incomparabile. Poi, riposti nella casseruola come un bambino nella culla, i maccheroni finivano la cottura in mezzo ai vapori inebrianti» (Fulbert Dumonteil).
Del resto la pasta è presenza consueta sulle tavole di tutte le Marche: tra i formati tipici, i tajulì pilusi, preparati solo con farina e uova, i tacconi e i cioncioni, a base di farina di fave, e i maccheroncini di Campofilone, sottilissimi fili di pasta all’uovo, apprezzati già nel Quattrocento.